INFERNO 
   
 CANTO II 
 10 Io cominciai : Poeta che mi guidi, 
 guarda la mia virtú s'ell' è possente, 
 prima ch'a l'alto passo tu mi fidi 
 82 « Ma dimmi la cagion che non ti guardi 
 de lo scender qua giuso in questo centro 
 de l'ampio loco ove tornar tu ardi. » 
 85 « Da che tu vuo' saver cotanto a dentro, 
 dirotti brievemente, mi rispuose, 
 perch' i' non temo di venir qua entro. » 
   
   
   
 CANTO III 
 01 « Per me si va ne la città dolente, 
 per me si va ne l'etterno dolore, 
 per me si va tra la perduta gente. » 
 07 « Dinanzi a me non fuor cose create 
 se non etterne, e io etterno duro. 
 Lasciate ogne speranza, voi ch'intrate. » 
 10 Queste parole di colore oscuro, 
 vid'ïo scritte al sommo d'una porta ; per 
 ch'io : « Maestro, il senso lor m'è duro. » 
 CANTO IV 
 22 « Andiam, ché la via lunga ne sospigne. » 
 Cosí si mise e cosí mi fé intrare 
 nel primo cerchio che l'abisso cigne. 
 25 Quivi secondo che per ascoltare, 
 non avea pianto mai che di sospiri, 
 che l'aura etterna facevan tremare ; 
   
   
   
 CANTO V 
 01 Cosí discesi del cerchio primaio 
 giú nel secondo, che men loco cinghia 
 e tanto piú dolor, che punge a guaio. 
 CANTO VII 
 97 « Or discendiamo omai a maggior pieta ; 
 già ogne stella cade che saliva 
 quand'io mi mossi, e'l troppo star si vieta. » 
 CANTO VIII 
 109 Cosí sen va, e quivi m'abbandona 
 lo dolce padre, e io rimagno in forse, 
 che sí e no nel capo mi tenciona. 
 CANTO XI 
 10 « Lo nostro scender conviene esser tardo, 
 sí che s'ausi un poco in prima il senso 
 al tristo fiato ; e poi no i fia riguardo. » 
 CANTO XII 
 01 Era lo loco ov' a scender la riva, venimmo, 
 alpestro e, per quel che v'er' anco, 
 tal, ch'ogne vista ne sarebbe schiva. 
   
   
   
 CANTO XVIII 
 01 Luogo è in inferno detto Malebolge, 
 tutto di pietra di color ferrigno, 
 come la cerchia che dintorno il volge. 
 04 Nel dritto mezzo del campo maligno 
 vaneggia un pozzo assai largo e profondo, 
 di cuisuo loco dicerò l'ordigno. 
 CANTO XXI 
 01 Cosí di ponte in ponte, altro parlando 
 che la mia comedía cantar non cura 
 venimmo ; e tenavamo 'I colmo, quando 
 04 restammo per verder l'altra fessura 
 de Malebolge e li altri pianti vani ;. 
 e vidila mirabilmente oscura. 
 CANTO XXIV 
 70 Io era vòlto in giú, ma li occhi vivi 
 non poteano ire al fondo per lo scuro ; 
 per ch'io : « Maestro, fa che tu arrivi 
 73 da l'altro cinghio e distomian lo muro ; 
 ché, com' i' odo quinci e non intendo, 
 cosí giú veggio e neente affiguro. » 
   
   
   
 CANTO XXXII 
 01 S'ïo avessi le rime aspre e chiocce, 
 come si converrebbe al tristo buco 
 sovra 'l qual pontan tutte l'altre rocce, 
 04 io premerei di mio concetto il suco 
 piú pienamente ; ma perch' io non l'abbo, 
 non sanza tema a dicer mi conduco ; 
 07 ché non è impresa da pigliare a gabbo 
 discriver fondo a tutto 1'universo, 
 né da lingua che chiami mamma o babbo. 
 13 Oh sovra tutte mal creata plebe 
 che stai nel loco onde parlare è duro, 
 mei foste state qui pecore o zebe ! 
 16 Come noi fummo giú nel pozzo scuro 
 sotto i piè del gigante assai piú bassi, 
 e io mirava ancora a l'alto muro, 
 19 dicere udi'mi : « Guarda come passi : 
 va sí, che tu non calchi con le piante 
 le teste de' fratei miseri lassi. » 
   
   
   
 CANTO XXXIV 
 97 Non era camminata di palagio 
 là 'v' eravam, ma natural burella 
 ch'avea mal suolo e di lume disagio. 
 100 « Prima ch'io de Labisso mi divella, 
 maestro mio », diss'io quando fui dritto, 
« a trarmi d'erro un poco mi favella : 
 103 ov' è la ghiaccia ? e questi com' è fitto 
 sí sottosopra ? e come, in sí poc' ora, 
 da sera a mane ha fatto il soi tragitto ? » 
 106 Ed elli a me : « Tu imagini ancora 
 d'esser di là dal centro, ov' Io mi presi 
 al pel del vermo reo che 'l mondo fóra. 
 109 Di là fosti cotanto quant' io stesi ; 
 quand' io mi volsi, tu passasti 'l punto 
 al qual si traggon d'ogne parte i pesi. 
 112 E se' or sotto l'emisperio giunto 
 ch'è contraposto a quel che la gran secca 
 coverchia, e sotto 'l cui colmo consunto 
 115 fu 1'uom che nacque e visse sanza pecca ; 
 tu haï piedi in su picciola spera 
 che l'altra faccia fa de la Giudecca. 
 118 Qui è da man, quando di là è sera ; 
 e questi, che ne fé scala col pelo, 
 fitto è ancora sí come prim' era. 
 121 Da questa parte cadde giú dal cielo ; 
 e la terra, che pria di qua si sporse, 
 per paura di lui fé del mar velo, 
 124 e venne a l'emisperio nostro ; e forse 
 per fuggir lui lasció qui loco vòto 
 quella ch'appar di qua, e sú ricorse. » 
 127 Luogo è là glú da Belzebú remoto 
 tanto quanto la tomba si distende, 
 che non per vista, ma per suono è noto 
 130 d'un ruscelletto che quivi discende 
 per la buca d'un sasso, ch'elli ha roso, 
 col corso ch'elli avvolge, e poco pende. 
 133 Lo duca e io per quel cammino ascoso 
 intrammo a ritornar nel chiaro mondo ; 
 e sanza cura aver d'alcun riposo, 
 136 salimmo sú, el primo e io secondo, 
 tanto ch'i' vidi de le cose belle 
 che porta 'l ciel, pet un pertugio tondo. 
 139 E quindi uscimmo a riveder le stelle. 
   
 [Explicit prima pars 
 Comedie Dantis Alagherii 
 in qua tractatum est de Inferis] 
    
  "LA DIVINA COMEDIAS" 
 DANTE ALIGHIERI, 1309/1321 
  Illustrations : détails de"Miroir infernal" Ulm , 1483 
 Voir la gravure dans sa totalité 
   
   
 Version traduite par Lucienne Portier 
 Version traduite par Jacqueline Risset  |